Se 200 anni fa David Ricardo convinse il Parlamento inglese a non imporre dazi sul grano importato grazie alla sua teoria dei vantaggi comparati. Oggi, vista la guerra del grano, forse riscuoterebbe meno successo.
Infatti secondo questa Teoria, lo scambio commerciale tra due paesi può essere benefico per entrambi. Se ognuno di essi si specializza nella produzione del bene in cui presenta costi di produzione più bassi.
Per via della globalizzazione e della liberalizzazione del commercio del made in Italy agroalimentare.
L’Italia è arrivata ad importare il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e pasta.
Il 53% di mais per l’alimentazione del bestiame.
Negli ultimi 10 anni, nel nostro paese la produzione nazionale di mais è stata ridotta di 1/3. È scomparso quasi 1 campo di grano su 5.
Quello che manca viene acquistando in modo speculativo sul mercato mondiale.
Dall’inizio del conflitto in Ucraina, il prezzo del grano sulla borsa di Chicago è balzato di oltre il 40%. Nel 2020 era a 478 punti e a marzo 2022 a 1085. Russia ed Ucraina insieme valgono 1/3 del commercio mondiale di grano e l’80% di olio di girasole.
Negli ultimi decenni si è quasi delegata la produzione degli alimenti ad altri continenti perché produttori a basso costo. Questo comporta minor standard ambientali, con l’aggravante di aumentare il food social gap.
Questa guerra ha dimostrato la necessità di garantire la sovranità e l’autosufficienza alimentare. I nuovi “conflitti commerciali” porteranno ad un ritorno al protezionismo?
La Francia ha annunciato un piano di sostegno a protezione degli agricoltori. La Cina si è già mossa a stoccare il 60% della domanda di grano per il 1° semestre del 2022, diventando forse il “padrone” del grano nel mondo.
Secondo te, può la Teoria di Ricardo essere di successo anche di fronte ad un conflitto internazionale?
A cosa porterà la guerra del grano?
Giulia Baccini