A metà ‘800 Thomas Carlyle – razzista ed apologeta della schiavitù – definiva l’economia come “Dismal Science”. Tradotto “l’economia è una scienza triste“.

Non poteva tollerale che tutti gli individui fossero uguali di fronte alle curve di domanda e dell’offerta.

La sua definizione ad oggi è utilizzata per criticare tutte le visioni economiche in cui si mette in secondo piano la capacità costruttiva e creatrice della persona a favore dell’interesse materiale.

Ossia gran parte dei modelli tradizionali

Molto spesso l’economia nell’essere una “scienza triste”, è stata definita “difettosa”. Perché incapace di prevedere eventi come le crisi. Nel 2008, la Regina Elisabetta II presso la London School of Economics, chiese “perché nessuno ha previsto la crisi finanziaria?”.

Se da una parte le teorie formulate sui modelli matematici e sugli automatismi hanno aumentato il divario tra l’economia e la realtà quotidiana. Dall’altro lato la psicologia ha preso sempre più spazio nelle scienze economiche.

Il trend più diffuso è quello dell’economia comportamentale.

Alcuni modelli basati sugli agenti comprendono le reazioni dei nuovi agenti al nuovo ambiente.

Questi modelli non producono le previsioni che utilizzano le banche centrali o gli investitori ma creano storie realistiche.

Negli ultimi anni si parla anche di Neuroeconomia. Una disciplina che coniuga psicologia ed economia e studia come il nostro cervello assume decisioni economiche sulla base degli impulsi esterni e delle proprie caratteristiche.

Nuovi trend della psicologia comportamentale, della teoria della complessità, dei modelli basati sugli agenti e simili, dei metodi di studio controllati e big data, possono rappresentare un’opportunità per agire in una curvatura temporale anche per le istituzioni e i politici.

Visti i recenti sviluppi, secondo te, l’economia è ancora una scienza triste?

Autrice: Giulia Baccini

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