Sergio Marchionne, è riuscito non solo a sollevare le sorti dell’italianissima Fiat, ma anche a salvare il colosso americano Chrysler dall’orlo del fallimento.

Il metodo Marchionne, la “fabbrica piatta”, è diventato persino un caso di studio all’Università di Harvard.

Se nelle teorie manageriali per ottenere un turnaround si fermano le vendite per non bruciare cassa, si bloccano gli investimenti e si tagliano costi e persone, il modello della fabbrica orizzontale rivoluziona la leadership dalle fondamenta.

Innanzitutto, il modello propone di togliere i livelli dirigenziali intermedi, distribuendo le responsabilità per ottenere un’azienda che si muova velocemente e ci sia rapidità di esecuzione, abbattendo le forme piramidali in cui più stretto è il controllo, peggio funziona l’azienda.

Per aumentare la produttività si liberano “le forze della massa operaia”, facendo emergere il processo di creazione di valore aggiunto, un tempo affidato solamente alle aree dirigenziali. L’obiettivo è avere un processo che marci su due gambe: un operaio-massa consapevole.

La “bassa gerarchia” prevede di limitare i livelli alle funzioni di governo. Non più uffici separati, ma lavoratori e direttori che lavorano assieme. Tutto questo crea un modello più snello e agile.

Esemplificativa è stata la scelta di Marchionne di chiudere l’accesso al suo ufficio situato su una torretta nella sede della Chrysler, per sceglierne uno anonimo al secondo piano dello stabilimento.

Abbattendo l’asse verticale tipico del modello Fordista, padrone-manager-operaio, Marchionne ha ridotto la differenze (e anche la separazione fisica) tra colletti bianchi e tute blu, reinventando anche la struttura dello stabilimento stesso.

Sergio Marchionne ha avviato una rivoluzione culturale, frutto di una nuova visione dell’azienda che si poggia su un asse orizzontale azienda-dipendenti-sindacato.

Secondo te, i manager e le aziende italiane sono in grado di abbattere l’asse verticale?

Giulia Baccini

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